ROMA - 20 - 24 Novembre
Stadio di Domiziano | Palazzo Velli

MOSTRA COLLATERALE

 

FORME E FIGURE DEL '900 

 

 

La mostra collaterale che ha affiancato la Biennale internazionale di arte e cultura RomArt 2019 rappresenta un viaggio nella pittura e nel disegno italiano a cavallo fra XX e XI secolo.

L’esposizione propone una serie di testimonianze di rilievo assoluto del secolo trascorso, tessere di un mosaico che letto nella sua complessità evidenzia un periodo artistico tra i più fecondi e creativamente tumultuosi dell’arte italiana.

Nel percorso scelto si “contrappongono” 20 grandi maestri che hanno reso importante ed internazionale il “prodotto” arte italiano nella seconda metà del ‘900 e nel primo scorcio del nostro secolo, con testimonianze che toccano le principali correnti artistiche dell’intero periodo: da Renato Guttuso a Gonzaga, da Gentilini ad Aligi Sassu, passando per i fratelli Bueno, Antonio e Xavier, lo “spazialismo” di Vanna Nicolotti, l’astrazione di Turcato, Accardi e Perilli, i protagonisti della scuola di Piazza del Popolo, Schifano, Angeli, Festa, fino ad arrivare alla scuola di San Lorenzo con Pizzi Cannella, Ceccobelli, Tirelli e Dessì ed alla figurazione di Ennio Calabria e Ciro Palumbo
La mostra, concepita come un percorso cronologico e caratterizzata da forti connotazioni antologiche, intende rappresentare, in una forma assolutamente non esaustiva, come la pittura italiana sia stata ed è fortemente esplicativa, ed in alcuni casi prodromica, della cultura e della società che vi ruotano intorno.

 

Le esperienze pittoriche italiane a partire dal futurismo si sono mosse inevitabilmente in direzioni diverse, verso ricerche che hanno portato ad interpretazioni in grado di alimentare nel tempo la discussione sul ruolo della pittura e sui suoi paradigmi.

Una particolare attenzione è stata riservata a quegli artisti che a Roma hanno trovato città di elezione e che nel clima culturale della città eterna hanno raggiunto la piena maturità artistica.

Fra gli autori in mostra, Renato Guttuso, che a Roma visse per oltre cinquant’anni e a Roma fissò il centro nodale delle sue relazioni: qui conobbe e strinse amicizia con letterati e artisti come Moravia, Moore, Manzù, Pasolini, Neruda e Visconti, da cui trasse profonda ispirazione. Sempre a Roma si confrontò con un giovane Ennio Calabria, individuato poi dalla critica come uno dei pittori più significativi della generazione emersa tra il 1950 e il 1960, per la capacità di farsi testimone del proprio tempo con una pittura rivolta sia al sociale che a tematiche autobiografiche.

Calabria, insieme ai pittori Attardi, Farulli, Gianquinto, Guccione e Vespignani, fondò il gruppo “Il pro e il contro”, che divenne un forte punto di riferimento per le nuove ricerche figurative in Italia nel periodo dell’egemonia dell’arte informale.

Dalla pittura figurativa a quella astratta, con i protagonisti di Forma1, di cui Piero Dorazio è probabilmente il più celebre rappresentante.

Alla fine degli anni Cinquanta la sua pittura conquista l’idea della superficie come campo continuo, all’interno della quale riverbera la forza autonoma del colore, spazio e forma della luce, come ebbe a riconoscere Giuseppe Ungaretti: “In quei suoi tessuti o meglio membrane, di natura uniforme, quasi monocroma e pure intrecciata di fili diversi di colore, di raggi di colore, s’aprono, dentro i fitti favi gli alveoli custodi di pupille pregne di luce, armati di pungiglioni di luce” (1966).

 

Fra gli astrattisti italiani che firmarono il manifesto di Forma 1 spiccano poi Giulio Turcato, Carla Accardi e Achille Perilli che, pur aderendo a quello stesso formalismo di Dorazio, presero strade molto autonome tra loro.

La figurazione torna con Aligi Sassu, scoperto da Marinetti e fatto esporre a soli sedici anni alla Biennale di Venezia, nella sala riservata ai Futuristi.

Sassu ha fatto parte del movimento futurista, poi confluito nel "Gruppo di Corrente", nel 1938. Il suo eloquente espressionismo si è manifestato soprattutto in opere di grande fama internazionale come "Fucilazione nelle Asturie", del 1935 e "Martiri di Piazzale Loreto", del 1944.

Un ruolo da protagonisti nel panorama artistico italiano del secondo Novecento  spetta ai fratelli Xavier e Antonio Bueno. Spagnoli di nascita, giunsero in Italia nei difficili anni della guerra dove trascorsero il resto della loro vita.

Due complesse personalità votate alla più autentica pratica pittorica che con originalità ebbero modo di avvicinarsi al vivace ambiente culturale fiorentino a partire dagli anni quaranta. Sullo sfondo dei profondi cambiamenti culturali nei vivaci anni del dopoguerra, segnati dall’antinomia avanguardia e figurazione.

In mostra anche Giovan Francesco Gonzaga, degno erede della cultura pittorica italiana dall’arte bizantina a de Chirico e Carrà.

Il maestro lombardo ha avuto una lunga carriera nelle arti figurative, tanto che per l’artista la figurazione era divenuta quasi una “devozione religiosa” che proclamava e diffondeva nelle sue realizzazioni artistiche dagli oli, ai disegni alle serigrafie.

Si giunge poi, con i primi anni Sessanta, alla scuola di Piazza del Popolo, nata per mano di un gruppo di giovani artisti, fra i quali spiccano Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli che si riunivano al Caffè Rosati a Piazza del Popolo o presso la Galleria la Tartaruga di Plinio de Martiis. Li accomuna l’estrazione popolare, il senso radicato della realtà, l’esigenza di andare oltre le esperienze informali.

Il più giovane del gruppo fu Enrico Manera che aveva aderito all'idea avanguardistica del movimento verso la metà degli anni Settanta stringendo amicizia con i primi.

 

Di questi Mario Schifano fu la figura principale. La sua prima creazione da considerarsi pop fu Koka-Kola (1961), a cui fece seguito Coca-Cola del 1962. La sua pittura va dalle immagini pubblicitarie (Esso, 1964) ai ricordi futuristi, fino alla propaganda politica (Compagni, compagni, 1968).

Da considerarsi "schermi" risultano anche i quadri di Franco Angeli, realizzati con successive passate di colore e strati di garza, sotto i quali si pongono le immagini del potere e della violenza (aquile, aerei, croci, svastiche).

Appare più oggettuale il lavoro di Tano Festa, il quale ritrova persiane, specchi e ante di armadi e li presenta come dipinti monocromi. Inoltre, lavora anche con le immagini provenienti dalla storia dell'arte (la Creazione di Adamo di Michelangelo, La grande odalisca di Ingres, il particolare dei Coniugi Arnolfini, interpretandoli come segni di un mondo commercializzato e sottoposto alle stesse leggi con cui si gestiscono i prodotti di massa.

Franco Angeli è l’ultimo bohemien della generazione degli idealisti combattenti.

Gli aerei sono il suo mitra, il quarter Dollar il suo slogan, i cimiteri partigiani il suo impegno, l’Amore il suo amore. Per Franco Angeli, autodidatta, l’esigenza di dipingere esplode come affermazione di libertà. II bombardamento di San Lorenzo, a cui assiste di persona, lo turba profondamente ed influenza, per la scelta di materiali come garze e cromatismi rosso cupo, la sua pittura che diviene la denuncia evidente di un malessere sociale. 

Dalla scuola di Piazza del Popolo ai protagonisti dell’ultima esperienza pittorica romana, la scuola di San Lorenzo, gruppo nato tra la metà degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta ed animato da Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella, Marco Tirelli.

 

Questi artisti non si sono identificati con il luogo, ma è proprio quest’ultimo che li ha identificati e ne è rimasto a suo volta segnato”.

 

Quale luogo? Un edificio della cosiddetta archeologia industriale, l’ex Pastificio Cerere, nel quartiere romano di San Lorenzo. Questi artisti sono riusciti a creare in una città come Roma il loro centro d’aggregazione, non in senso metaforico, quanto piuttosto come un luogo reale d’incontri e confronti. Questa nuova e ultima scuola romana è risultato di fermenti artistici che avevano scosso l’Urbe sin dagli anni Trenta con la Scuola di Via Cavour e successivamente negli anni sessanta con la scuola di Piazza del Popolo.

Negli anni Settanta l’arte concettuale e mininal in unione all’abuso delle tecnologie, avevano reso saturo il panorama artistico. Alla luce di questo l’ultima scuola romana rappresenta una reazione di controtendenza ai movimenti artistici dell’epoca, un segnale di rottura come pure lo era stata la Transavanguardia, seppur con risultati espressivi differenti.

Si cambia nuovamente direzione con Vanna Nicolotti. Artista a cavallo fra i due secoli, dopo la prima personale a Milano nel 1963 inizia la ricerca tridimensionale nell’area della nuova realtà spaziale di Lucio Fontana esponendo i primi lavori a Londra nel 1964, poi a Milano e a Roma. Giunge a veri e propri rilievi di tela intagliata e dipinta, sovrapponendo più strati su fondo metallico (le Strutture variate).

Opere ascrivibili a quella “geometria sensibile” teorizzata dal critico brasiliano Roberto Pontual (serie dei Mandala e delle Porte), esposte in diverse mostre personali in Italia e all’estero.

 

Infine, in ordine cronologico, Ciro Palumbo, artista testimone ed interprete della nostra contemporaneità. Il suo percorso  è ricco e poliedrico e la sua poetica ricalca le orme della scuola metafisica di Giorgio de Chirico e Savinio, per reinventarne i fondamenti secondo un’interpretazione personalissima e originale. Le opere sono un tripudio di simboli onirici e palcoscenici fantasmagorici. “Un affabulatore di momenti astorici e atemporali”, come ha scritto di lui Vittorio Sgarbi.